Una vita per i diritti

Bracciante e sindacalista socialista di Sciara, venne assassinato a colpi di lupara a 31 anni, all’alba del 16 maggio 1955, mentre si recava a lavorare in una cava di pietra gestita dall’impresa Lambertini. I killer lo uccisero mentre percorreva la mulattiera (trazzera) di contrada Cozze secche.

Carnevale aveva dato molto fastidio ai proprietari terrieri per difendere i diritti dei braccianti agricoli: era infatti molto attivo politicamente nel sindacato e nel movimento contadino.

Nel 1951 aveva fondato la sezione del
Partito Socialista Italiano di Sciara ed aveva organizzato la Camera del lavoro: al momento della fondazione era consapevole che la sua azione non sarebbe stata priva di conseguenze.

Dichiarò infatti “se caduti del Partito socialista italiano in Sciara vi saranno, il primo sarò io”.

Salvatore Carnevale

Nell’ottobre dello stesso anno aveva organizzato i contadini nell’occupazione simbolica delle terre di contrada Giardinaccio della principessa Carnevale; fu arrestato e, uscito dal carcere, si trasferì per due anni a Montevarchi in Toscana, dove scoprì una cultura dei diritti dei lavoratori più forte e radicata.

Nel 1952 aveva rivendicato per i contadini la ripartizione dei prodotti agricoli ed era riuscito ad accordarsi con la principessa Notarbartolo.

Nell’agosto 1954 tornò in Sicilia, dove cercò di trasferire nella lotta contadina le sue esperienze settentrionali. Fu nominato segretario della Lega dei lavoratori edili di Sciara.
Tre giorni prima di essere assassinato era riuscito ad ottenere le paghe arretrate dei suoi compagni e il rispetto della giornata lavorativa di otto ore.

Francesca

La madre di Salvatore, Francesca Serio, fu la prima donna nella Sicilia degli anni ‘50, con il supporto del PSI nazionale e di una grande campagna di stampa del quotidiano socialista Avanti!, a rompere l’omertà mafiosa, denunciando formalmente al procuratore della Repubblica di Palermo gli assassini del figlio, con nomi e cognomi: quattro mafiosi di Sciara dipendenti della principessa Notarbartolo, la proprietaria del feudo dal quale Carnevale era riuscito a far scorporare una piccola porzione di terre incolte da far assegnare ai contadini.

Francesca Serio

L'omicidio e l'accusa

Le indagini sull’omicidio e sui quattro nominativi denunciati dalla madre di Carnevale furono svolte dal procuratore della Repubblica di Palermo Pietro Scaglione (poi caduto anch’egli vittima della mafia): i quattro accusati furono fermati e tradotti in carcere poiché gli alibi non ressero alle verifiche e un testimone si lasciò scappare di aver visto uno degli indagati sul luogo del delitto. Sulla base di queste indagini, si aprì un lungo iter giudiziario tra assoluzioni e condanne in vari tribunali italiani, in quanto i difensori degli imputati, asserendo il grande clamore mediatico esistente sul caso a Palermo, sede naturale del processo, ottennero che lo stesso venisse trasferito, per legitima suspicione, alla Corte d’Assise presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere

Il processo

Nel processo la parte civile costituita dalla madre fu rappresentata dal futuro presidente della Repubblica, il socialista Sandro Pertini,
e dagli avvocati Nino Taormina e Nino Sorgi, anche loro socialisti.

Il processo di primo grado iniziò il 18 marzo 1960 e si concluse il 21 dicembre 1961 con la condanna all’ergastolo di tutti e quattro gli imputati, accogliendo la ricostruzione del delitto fatta da Scaglione, Pertini, Sorgi e Taormina.

Nel collegio di difesa degli imputati compariva anche un altro futuro presidente della Repubblica, l’avvocato Giovanni Leone.

Sandro Pertini e Francesca Serio
Commemorazione di fronte la lapide di Carnevale

La condanna

Francesca, che aveva assistito a tutte le udienze del processo come muta accusatrice degli assassini del figlio, si dichiarò “soddisfatta della sentenza, poiché giustizia era stata fatta non solo per il figlio ma per tutti i caduti sotto i colpi della mafia”.

Tuttavia al processo d’Appello, svoltosi a Napoli dal 21 febbraio al 14 marzo 1963, e in quello di Cassazione, la sentenza fu ribaltata, assolvendo tutti gli imputati per insufficienza di prove

La comunità in Piazza Castelreale

Francesca dichiarò che quella sentenza uccise il figlio una seconda volta.

Fotogallery

Comments are closed.

Close Search Window